Introduzione

Quello che segue è un articolo che ho scritto non troppo tempo fa. Se dovessi riscriverlo adesso verrebbe completamente diverso, in quanto mi sono impadronito di una chiave di lettura che allora non avevo, la quale spero di trattare a breve su questo stesso blog.

Il Paradosso di Popper

Non è raro che l'intelligencija d'occidente invochi Popper a difesa dei propri totalitarismi, il fatto è che, come tutte le altre cose che fa, lo fa in modo ingiustificabilmente acritico, e un autore che ha amato lo spirito critico tanto quanto Popper, assistendo a tale orrore, non potrebbe che rivoltarsi nella tomba. È in luce di ciò che ci proponiamo, nel presente studio, di fare almeno parte della critica che, per dare a Popper un oltretomba tranquillo, riteniamo doverosa.

“Altre osservazioni di Platone sui paradossi della libertà e della democrazia sono: Repubblica, 564a: «L’eccessiva libertà... non può trasformarsi che in eccessiva schiavitù, per un privato come per uno stato... È naturale quindi.. che la tirannide non si formi da altra costituzione che la democrazia; cioè a mio avviso, dalla somma libertà viene la schiavitù maggiore e più feroce». Si veda anche Repubblica, 565c/d: «Ora, il popolo non è sempre solito mettere alla propria testa, in posizione eminente, un solo individuo, mantenerlo, farlo crescere e ingrandire?». «Sì, è solito farlo». «Allora è chiaro... che tutte le volte che nasce un tiranno, esso spunta dalla radice del protettore» [leader democratico di partito].
Il cosiddetto paradosso della libertà è l’argomento per cui la libertà, nel senso dell’assenza di qualsiasi controllo restrittivo, deve portare a un’enorme restrizione, perché rende i prepotenti liberi di schiavizzare i mansueti. Questa idea, in una forma un po’ diversa e con una tendenza del tutto diversa, è chiaramente espressa da Platone.
Meno noto è invece il paradosso della tolleranza: la tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano di ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole. Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti. Dovremmo insomma proclamare che ogni movimento che predica l’intolleranza si pone fuori legge e dovremmo considerare come crimini l’incitamento all’intolleranza e alla persecuzione, allo stesso modo che consideriamo un crimine l’incitamento all’assassinio, al ratto o al ripristino del commercio degli schiavi.
Un altro paradosso poco preso in considerazione è il paradosso della democrazia o, più precisamente, del governo maggioritario, cioè la possibilità che la maggioranza decida che il governo venga affidato a un tiranno. Che la critica platonica della democrazia possa essere interpretata nel modo qui delineato e che il principio del governo maggioritario possa portare ad autocontraddizioni, fu indicato per la prima volta, a quanto ne so, da Leonard Nelson (si veda il punto 2 della nota 25 a questo Capitolo). Non penso, tuttavia, che Nelson, il quale, nonostante il suo appassionato umanitarismo e la sua ardente lotta per la libertà, fece propria buona parte della teoria politica di Platone e specialmente il principio platonico della leadership, fosse consapevole del fatto che argomenti analoghi possono essere opposti a tutte le varie forme particolari della teoria della sovranità.
Tutti questi paradossi possono essere facilmente evitati se formuliamo le nostre rivendicazioni politiche nel modo indicato nella sezione 2 di questo Capitolo, ovvero anche nel modo seguente: noi chiediamo un governo che governi in conformità con i principi dell’egualitarismo e del protezionismo; che tolleri tutti coloro che sono disposti a contraccambiare, cioè che sono tolleranti; che sia controllato dal pubblico e responsabile nei confronti del pubblico. E possiamo aggiungere che qualche forma di voto maggioritario, insieme con istituzioni che tengano bene informato il pubblico, è il migliore, anche se non infallibile, mezzo per controllare un governo siffatto. (Nessun mezzo infallibile esiste). Cfr. anche il Capitolo VI, gli ultimi quattro capoversi nel testo che precede la nota 42; il testo relativo alla nota 20 al Capitolo XVII; il punto 4 della nota 7 al Capitolo XXIV; e la nota 6 al presente Capitolo.”

(cit. K. Popper, 1945, La Società Aperta e i suoi Nemici, vol. 1 cap. 7 nota 4)

Popper è un epimeteistico personaggio della Fenomenologia hegeliana (1). Lo diciamo perché i tre paradossi ch'egli affronta nell'estratto già citato sono evidenti ironie dialettiche e, in quanto tali, sono suscettibili a soluzione sintetica; ma egli non li affronta in modo sintetico. La cosa hegeliana (e corretta) da fare sarebbe dare specificità alla libertà, alla tolleranza, e alla democrazia in quistione, riconciliandole sinteticamente e a priori con un'oppressione, un'intolleranza, e un totalitarismo che solvano il paradosso, e a prima vista ciò sembrerebbe in linea con la soluzione popperiana, in fondo, dividendone la sequenza logica in due proposizioni, si ottiene quanto segue:
1. La libertà/tolleranza/democrazia non può essere estesa in modo indefinito.
2. Siccome la libertà/tolleranza/democrazia non può essere estesa in modo indefinito, per preservare la libertà/tolleranza/democrazia dobbiamo essere non-liberali/non-tolleranti/non-democratici verso i non-liberali/non-tolleranti/non-democratici.
Il problema con tale soluzione è che il criterio sulla base del quale Popper pretende di dare specificità alla libertà/tolleranza/democrazia è autoreferenziale (dunque analitico) rispetto alla stessa, e dunque incapace di darle una specificità sintetica (2); si potrebbe obiettare che trattandosi di un «paradosso» è proprio questo il punto, ma dal momento che, piuttosto che d'un paradosso inteso secondo la connotazione etimologica della parola, si tratta di una contraddizione logica bella e buona, e che tale contraddizione è facilmente solubile, noi ribatteremmo che il paradosso in quistione non ha motivo d'essere tollerato.

“Ma aveva forse ragione Platone? La “giustizia” significa forse proprio quello che egli dice? Io non intendo discutere una questione del genere. Se qualcuno dovesse sostenere che la “giustizia” significa il governo incontestato di una classe, allora io mi limiterei a replicare che sono senz’altro per l’ingiustizia. In altri termini, io credo che nulla dipenda dalle parole e che tutto invece dipenda dalle nostre esigenze pratiche o dalle proposte di impostazione della linea politica che decidiamo di adottare. Dietro la definizione che Platone dà della giustizia sta, al fondo, la sua aspirazione a un governo totalitario di classe e la sua decisione di concorrere a realizzarlo.”
“Perché Platone sostenne, nella Repubblica, che giustizia significava diseguaglianza se, nell’uso generale, essa significava uguaglianza? La sola risposta plausibile mi pare possa essere questa: che egli intendeva far propaganda per il suo stato totalitario persuadendo la gente che esso era lo stato “giusto”. Ma, valeva la pena di fare un tentativo del genere, tenendo presente che non sono le parole che contano, ma ciò che intendiamo dire per mezzo di esse? Naturalmente, valeva la pena; e ciò risulta evidente dal fatto che riuscì perfettamente a persuadere i suoi lettori, fino ai nostri giorni, che egli stava candidamente invocando la giustizia, cioè proprio quella giustizia per la quale essi si stavano battendo.”

(cit. K. Popper, 1945, La Società Aperta e i suoi Nemici, vol. 1 cap. 6 p. 2)

Non accusiamo Popper della stessa malafede che vede in Platone (noi non la vediamo neanche in lui), tuttavia è evidente che parole come «libertà», «tolleranza», e «democrazia» nella Società Aperta svolgono lo stesso ruolo che, stando a Popper, la parola «giustizia» svolge nella Repubblica di Platone; se un politico dovesse opporsi a uno dei primi tre concetti, quasi nessuno, prima di obiettare, si chiederebbe l'implicazione «fattuale» di tale opposizione, questo perché il loro contenuto comunicativo, piuttosto che il «fatto sociologico» loro proprio, è la loro «intenzione» (3), che noi chiamiamo «rivendicazione morale»; volendo tradurre il paradosso della tolleranza dalle parole che usa in ciò che effettivamente comunica, esso prenderebbe la seguente forma: «per preservare il bene dobbiamo essere cattivi con i cattivi»; questa, pur essendone la formulazione più onesta, mette in più esplicito dubbio chi siano i buoni e chi i «cattivi», e non suona male quanto «per preservare la tolleranza verso i bambini transessuali dobbiamo essere intolleranti verso i genitori che gli vietano la terapia di sostituzione ormonale», che è il modo in cui gli americani, di fatto, già impiegano il Paradosso; c'è di più, infatti, con quel suo vago riferimento al bene, a qualcuno che non capisce Platone potrebbe sembrare un'argomentazione adatta all'uso dei platonisti, se non per il fatto che, quand'anche costoro dovessero avvalersene, i seguaci di Popper li accuserebbero d'usare logica totalitaria. Concludiamo il presente paragrafo con un'osservazione: che Platone abbia fatto demagogia o no, e che il suo concetto di giustizia fosse intellettualmente povero come ritiene Popper o no (4), non ha mai elaborato un «paradosso della giustizia» dialetticamente inconsistente per cercare, senza successo, di proteggere la propria idea di giustizia da sé stessa, e se ciò non rivendica il totalitarismo, quantomeno dovrebbe far riflettere sulla debolezza intellettuale della democrazia.

(1) Noi, nel contesto di suddetta Fenomenologia, contrapponiamo i personaggi epimeteistici a quelli prometeistici; si tratta di un tema che avremo modo di riprendere in un'altra sede.
(2) La specificità di nostro interesse è qualitativa, e non ha niente a che fare con la specifica quantitativa, che Popper effettivamente dà, della misura in cui ritiene legittimo impiegare tale intolleranza. Tradotto nel linguaggio della fisica aristotelica, ci interessa l'atto dell'intolleranza e non la sua potenza.
(3) Prendiamo in prestito le definizioni di «fatto», «intenzione», e «fatto sociologico» da Popper in persona (in K. Popper, 1945, La Società Aperta e i suoi Nemici, vol. 1 cap. 5 p. 3).
(4) Difende questa posizione in K. Popper, 1945, La Società Aperta e i suoi Nemici, vol. 1 cap. 6 p. 4.